C’era una volta tanto tempo fa un uomo.
Era alto ed ombroso, livido ed imberbe.
Un giorno scoprì di avere nello stomaco un diamante.
Queste pesanti parole hanno ispirato Johann Wolfgang von Goethe
C’era una volta tanto tempo fa un uomo.
Era alto ed ombroso, livido ed imberbe.
Un giorno scoprì di avere nello stomaco un diamante.
Queste pesanti parole hanno ispirato Johann Wolfgang von Goethe
Nel seminterrato il signor Koto schiuma di rabbia come un motoscafo. Pacioccone! Agnogna il caviale di tutta la Polonia fredda distesa di simboli alchemici. Rincorre un sogno allergico, una pista mai vista, un sapore rosso nebbia.
La sua anima strimpella trasformazioni e mattoni in vista della catastrofe.
Ma è la mossa sbagliata ed il cucciolo se ne accorge.
Oggi mentre trotterellavo allegramente per i prati infiniti del mio quartiere, guidato dalle lucenti ali dell’ispirazione, sono entrato in un negozio ed ho comprato una lavagna nera.
Appena tornato nel mio castello, sospinto dal dolce canto delle Muse, non ho resistito e con un gessetto bianco ho materializzato questa essenza dell’Arte Futura.
Per il making of clicca qui.
Invece per imparare a vivere clicca:
Vivere è imparare
Barbigli navali inabissati sull’orlo della tua faccia.
Facciata di chiesa romanica sradicata, decadende, con mattoncini freschi e buoni.
Odor di lavanda. Preziose ore sparse come prezzemolino sulla mente.
Concatenazioni —> concezioni —> confini —> ronzini —> bizze
fra le
frammentazioni di un mondo che colava acido
stancamente come un mulo di seta ardita e lattiginosa
mi divincolavo nella morsa dei lenzuoli sfilacciati in menopausa fra le macchie di sangue dell’ennesimo litigio.
l’epistassi copiosa del drago mi abbacinò per lunghi istanti
e dai pertugi delle narici potevo osservare
l’andirivieni delle figure magnetiche attaccate al frigorifero
mentre annose domande friggevano a fuoco lento la mia mente.
dove stavo andando?
le mie setole iniziarono a pungere con effimera efferatezza la galassia nera delle tue ciglia senza volto avvolte da un panno madido di sudore:
dov’eri?
inesorabilmente
il soffio vitale delle tue membra
si dilatò su di me.
Non avevo in mente nient’altro che briciole.
I miei cervelli erano pieni di banchetti.
(In un angolo polveroso sentii la sua voce stridere).
Spazzai via ogni cosa.
Persino la mia pelle finì col staccarsi dalle mie bocche.
Mi cucii addosso nuove verità.
Ero un fossile futuro, levigato come un’arma inerme.
Un soffio sollevò la polvere e respirai i miei stessi vapori.
Mi legai alle gambe della sirena.
Potevo spezzarmi le ossa, ora io potevo essere liquido come la lava
e polverizzare l’universo.
Decisi di schiacciarlo con tutta la mia forza.
La mia testa era ormai lo scheletro di un pappagallo.
Ripetevo a stento le mie parole.
Evaporai.
I globuli rossi sgorgavano a fiotti dalle ciocche della fattucchiera.
La satura atmosfera dei fluidi organici consumava l’aria.
JimGmirimiGrix non riusciva a respirare.
Annaspava nell’intruglio rosso ed urtò il suino.
Fu per quello che infine la Megera pronunciò il sortilegio.
Il Protagonista Di Questo Romanzo rimase a lungo ad osservare questa scritta.
Era un locale buio, senza luce e senza buio, chiuso ermeticamente.
Dalla strada trafficata della metropoli era spiazzante nella sua desolazione.
Protagonista non riusciva a staccare lo sguardo, probabilmente era rimasto incollato alla porta.
Tentò in tutti i modi di staccarsi, ma la colla era forte
e superba
e troia.
E fu così che piano piano i suoi occhi si abituarono all’oscurità di quel luogo derelitto.
Antiche vestigia apparvero, rimasugli, scheletri e boe elettromagnetiche.
L’imperioso Fantasma Di Questo Romanzo sbucò all’improvviso da un dado chiuso.
Le boe si accesero, un grido riecheggiò in tutto il museum.
Il Protagonista Di Questo Romanzo rimase risucchiato in quel vortice di malcelata esistenza.
Carissimo lettore, lascia che ti chieda per una volta un sacrificio.
Le vedi queste quattro immagini?
In realtà sono le quattro fasi di una storia che ormai ho dimenticato.
Puoi aiutarmi a rintracciarla?
Son sicuro di sì.
Scrivimi dunque la tua versione di questo fantasmatico racconto che si chiama
“la nascita di uno spiritello”.
(La pubblicherò).
ho subito un subitaneo slittamento di coscienza.
era un limpido giorno di primavera e sorseggiavo un’arancia innocente.
sparuti insetti vorticavano attorno alla mia nuca grigia di pensieri.
sorso dopo sorso tutta la materia si stava consumando.
buchi neri decrepiti zoppicavano nella cucina esalando l’ultimo respiro.
mi voltai.
tutti i miei neuroni si attorcigliarono.
si creò un vortice.
stomaco, nervi e molecole di idrogeno si aprirono a una nuova vita.
ogni singola entità rimase per sempre irriconoscibile.
l’agrume scappò via per sempre.
(disegni, tecnica mista su carta, per te.)
il damerino, con mosse molto flirty, si avvicinò al covo, pieno di libido,
col cuore carico abbordava la lady, very playfyull.
“your mum is hot” le disse.
lei si tolse il cappello e lo invitò a ballare.
“dancing”.
erano hot. pieni di fullness, supertrippy, sereni.
serenissimi.
il damerino la fissava , la stregava, zampillava d’amore.
ebbe un raptus.
si buttò fra le sue carni.
fu la fine.
un gelataio li vide contorcersi e dileguarsi.
“quando?”
lo ignoro.
ogni cosa è al suo posto.
disintegrata.