
Versione multimediale qui.

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i tuoi tuoni sul mio moto vuoto.
Lo angosciavano le coincidenze
la neurobiologia
(psicofarmaci, nebbia mentale)
squallore sfrenato, buffonate.
polarizzata babbuccia.
escrescenze spiacevolissime, l’umore.
nel baratro emotivo,
sguardo assente,
ebbro.
non volle la dolcezza,
parametri seminali.
indicibili amatissime chiarezze.

Empatia ateorica.
Sofisticata serenità.
Aumenta vocazione.
Falsifica l’essenziale.
Estingue Urti.
Penna a sfera e colori digitali su Carta A4.
Disponibile anche in formato NFT: opensea.io/bananartista
State ascoltando un’opera musicale di (b)ananartista sbuffuff.
Un flusso di dati molto vero.

Titolo:”bene comune intraoculare” – Valore in soldi: 222 €uro
Ecco il primo video-logos dei Conceptus, gentilmente offerto dal collettivo.
Testo critico di Bambuta Bolivion, Aspro Padre e con frase ascritta ad Etemenanki Pinnakes (prima martire antifallica):
“Intelligente provocazione di denuncia e lotta al body shaming.
Critica sociale e arte in quest’opera si fondono con esemplare maestria. Il patriarcato da oggi sa che deve confrontarsi con l’arte sociale.
In questo lavoro di brutale immediatezza l’autrice con un impeto geniale realizza il ribaltamento di un sistema di valori basato sul dominio del maschio e della belligeranza, chirurgicamente rappresentato dal nominativo del più celebre degli antichi romani. Niente è più lo stesso nello studio dell’arte e della storia.
Un vero e proprio coup d’etat ha per sempre riscritto i paradigmi della Civitas.“
Io narrante: (b)ananartista e Declino Cognitivo
Decontestualizzazione: Utopia
Con la prestigiosa assenza di: Atti Effimeri ed Ysingrinus
Imóvel amanhece raia veias claras.
Uma palavra.
Folhas secas.
C’era una volta tanto tempo fa un uomo.
Era alto ed ombroso, livido ed imberbe.
Un giorno scoprì di avere nello stomaco un diamante.
Queste pesanti parole hanno ispirato Johann Wolfgang von Goethe

La tetra atmosfera si fa fuffa, in Guadalupa chili di tofu si accumulano sulle colonne erculee leee leeeee leeeeeeeeeeeeeeee.
Una mano si posa sulla teurgia del demiurgo spiazzato ed api, api ovunque che disperdono calore nel turbinio di questo Agosto malandrino.
Il sensitivo si alza, imperioso, l’espressione empia, la pupilla truce.
Impugna la dottrina con purghe e salassi indicandoci la salvezza.

Un’incrinatura della superficie vomita variopinte ferrovie mentre dal sottosuolo s’inabissano sottoinsiemi
Ma questo dubbio mi sta facendo deridere la teoria
E’ buffo come l’intumescente groppa del corallo si abbarbichi alla psiche
(Te l’avevo detto?)
Non ho mai pronunciato il raziocinio mondano,
io che rigurgito spezie nelle vicinanze.
«C’era una volta un uomo che si chiamava Albinus, il quale viveva in Germania, a Berlino. Era ricco, rispettabile, felice; un giorno lasciò la moglie per un’amante giovane; l’amò; non ne fu riamato; e la sua vita finì nel peggiore dei modi».

Nel comporre quest’opera vorticosa ed emblematica mi sono ispirato ad un quasi omonimo libro di Vladimir Nabokov nel quale echeggia:
Una risata nel buio

il fermento dei vermi corrode le carni del gigante che è arcobaleno e macello.
noi siamo qui al buio dei nostri pensieri, attoniti come gerani, assopiti su un nucleo ardente di giada.
la flebile voce delle arterie pulsa nella mente del netturbino.
appeso a un sogno, strozzato alla rovescia, misuro le costellazioni.
il luccichìo di un’onda fa appena in tempo a trafiggermi
mentre con gli occhi nelle mani farfuglio la mia ultima verità.

L’artista ti guarda,
vuole farti un ritratto,
non ti ritrarre,
lascialo avanzare coi suoi occhi magnetici
fino alla cima del tuo essere
dove scorgerà la stella che non sapevi di avere.

Dopo lunghi mesi di vagheggiante attesa, mesi di penoso distacco e di tediosa raggelante attesa, finalmente mi sono ricongiuto con la mia cara e affettuosa tavoletta grafica.
Tremando e fremente ho impugnato con gioia il pennino saggiandone con ardore l’asta rigida ma vellutata e quella sua punta minuta e quasi scherzosa che ha costellato di desideri le mie notti inquiete.
Non ho più potuto attendere: a capofitto mi sono immerso nelle sue superfici dimentico di ogni cosa mortale e scivolando in una lubrica danza abbiamo generato questo giovane virgulto d’arte, passione e voluttà.

Scegli
l’uomo
senza mutande.

«“Prassi” è la parola con la quale il pensiero greco indica in generale, e una volta per tutte nella storia dell’Occidente, l’azione in quanto forza consapevole che conduce le cose nell’essere e nel niente (“le cose” nel senso più ampio di questa espressione: stati “esterni” e “interni”, forme, situazioni, rapporti, processi – ogni non-niente). La “prassi” appartiene all’essenza del nichilismo: è una delle categorie fondamentali secondo cui il nichilismo pensa le cose. È quindi una delle categorie fondamentali dell’errore».
Emanuele Severino

Ettore.
Canicola antartica.
Antiche menti. Sospiri.
Raggiri.
E poi ancora raggiri.
Raggirissimi.
Girini girano girandole scomposte dell’unzione, dell’uncino, dell’undici indicibile.
Ho come una sensazione.
Sensazionalismo.
Civetteria della stampa corrotta.
Cerchioni sotto i mari.
Ora ho tempo di decidere.
Pondero.
Cum grano salis.

Il crepuscolo si nutre della macchia che si espande sconfinando ogni volta di più. Ha oltrepassato ogni limite, oggi ha strabordato di nuovo estroflettendosi nelle nostre menti attonite.
Il vaso rovescia ancora le sue fiamme infernali su noi terre arate dai venti impetuosi della steppa.

Nelle colonie greche in asia minore gli uomini iniziarono a chiedersi il perchè delle cose.